Pensioni, sempre più difficile evitare i 67 anni. È già scontro su Opzione Uomo

Sarà sempre più complicato scongiurare l’estensione a 67 anni per l’uscita dal mondo del lavoro. Il rischio è sempre più concreto ogni giorno che passa anche per i ritardi nella formazione del nuovo governo che dovrebbe prendere i provvedimenti necessari a limitare il rischio di questo innalzamento della soglia.

Se non verrà fatto nulla, nel 2023 entreranno in piena applicazione le regole della Legge Fornero che prevedono l’innalzamento della soglia a 67 anni, oppure la presenza di 42 anni e 10 mesi di contributi a prescindere dall’età anagrafica, con un anno in meno per le donne.

Le opzioni sul tavolo per evitare la pensione a 67 anni

Le pensioni sono un grosso capitolo di spesa per lo stato e la volontà di riformare il sistema non manca. L’attuale impostazione è quello della Legge Fornero, che vedrebbe entrare la soglia dei 67 anni come età per lasciare il lavoro. Una delle possibili scelte è quella di provare la strada dell’uscita con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età. Avrebbe spese che si stimano parecchio alte, nell’ordine dei diversi miliardi di euro.

Un’altra idea potrebbe essere quella di ripercorre la strada di “Opzione Donna”, una delle modalità messe a disposizione per le donne negli ultimi anni. Consentirebbe di uscire dal lavoro a 64 anni, ma con un assegno calcolato interamente col regime contributivo, cosa che ne ridurrebbe decisamente l’importo. Un taglio che potrebbe arrivare al 30%. Per altro “Opzione Donna” ha avuto un successo decisamente inferiore di quanto sperato: è stato scelto dal 25% delle donne aventi diritto, anche perché nella metà dei casi l’assegno pensionistico sarebbe stato al di sotto dei 500 euro mensili.

 

È già scontro per “Opzione Uomo” tra Inps e CGIL

Va da sé che parlare di Opzione Uomo in questo momento possa creare dei pareri discordanti. Il piano sarebbe quello di consentire l’uscita dal lavoro tra i 58 e i 59 anni con 35 anni di contributi. Da un lato il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, lo ritiene un modello applicabile derubricando la riduzione dell’assegno ad una sorta di scelta personale. Queste le sue parole: “Riforme orientate a un principio giusto, quello di una certa flessibilità in uscita rimanendo ancorati tuttavia al modello contributivo. Sembra che si sia abbastanza in linea rispetto a quello che si stava facendo col Governo Draghi. Tutti sanno che col modello contributivo se si va in pensione prima si va con un minore assegno pensionistico. È normale nel nostro modello contributivo, ce lo abbiamo dal ’95, l’abbiamo riconfermato con la riforma Fornero”.

Dall’altro lato invece il segretario generale della Cgil Maurizio Landini che la ritiene una strada non percorribile: “Mandare in pensione le persone riducendogli l’assegno non mi pare sia una grande strada percorribile. Credo che il tema sia quello di affrontare la complessità del sistema pensionistico. Per dare un futuro pensionistico a tutti i lavoratori: bisogna combattere la precarietà”.

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